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Centri storici di Padula e Teggiano, per Riserva nat.Tànagro-Calore

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Centri storici di Padula e Teggiano, per Riserva nat.Tànagro-Calore Empty Centri storici di Padula e Teggiano, per Riserva nat.Tànagro-Calore

Messaggio  Admin Mar Ago 14, 2012 12:39 am

"Centri storici di Padula e Teggiano, per Riserva nat.Tànagro-Calore", Agosto 2012
http://www.flickr.com/photos/84076151@N08/sets/72157631046847518/
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PADULA
Sorge alle pendici ovest della catena dei monti della Maddalena che fungono da confine delle due Regioni Campania-Basilicata, in affaccio sul fiume Calore salernitano proveniente dalle pendici settentrionali del m.Cervati, nel Vallo di Diano.
Il nome Padula deriva da paludem, ossia palude, in quanto la vasta piana del Vallo di Diano in passato era coperta da aree paludose.
Quindi, per l’inversione delle lettere d ed l, il nucleo abitativo fu denominato Padula.
Il primo nucleo urbano dell’attuale Padula sorse attorno al IX secolo dc su uno dei due colli, per mano dei lucani che scescero dalla soprastante Civita di Cosilinum, quando che fu cessato il periodo delle orde dei saraceni, a quota meno elevata e più prossima ai collegamenti della Piana sottostante.
Anche i lucani, secondo gli studiosi, provengono dalla stirpe d’origine sannita.
Ma prima dell’arrivo dei lucani, l’antichissima città di Cosilinum fu fondata dai cosilinati nel XII sec ac.
Gli abitanti lucani del primo colle di odierna Padula, ebbero così protezione dai monaci basiliani del preesistente monastero di S.Nicola de Donnis.
Dell’antica Cosilinum rimangono sporadici resti di una superstite cinta muraria e cospicuo numero di colonne che sono esposte nel Museo archeologico nella Certosa S.Lorenzo.
In mano ai lucani il luogo era molto frequentato perché era una delle crocevie di questo popolo, con numerosi sottogruppi, che si estendeva dallo Ionio fino a Paestum, caratterizzando quindi tutta la Basilicata, parte della Calabria e parte del salernitano, sotto lo storico nome di Grande Lucania.
Con l’avvento dei romani il territorio padulese era attraversato da una lunghissima strada romana, la Via Annia-Popilia che collegava Capuam con Reghium, ossia l’attuale S.Maria Capua Vetere con Reggio Calabria, che fu la seconda importante strada romana del Sud-Italia, dopo la Via Appia.
Invece sul 2’ colle fu costruito nel 1296 il castello col successivo insediamento che andava a concentrarsi nel tempo attorno ad esso.
I lavori del castello furono affidati al conte Tommaso Sanseverino di Marsico per volere del re Carlo II d’Angiò il quale, alla fine dei lavori, gli concesse il titolo di signore di Padula.
Il castello era dotato di cosidetta piazza d’Armi, cioè lo spiazzo antistante su cui si affacciavano alloggi dei militari e depositi per la vita militare.
Tale piazza ad oggi è soprannominata à Chiazza.
Un tempo l’antica borgata e castello erano protetti da una possente cinta muraria con 8-9torri e un paio di porte di accesso.
Nel corso dei secoli le protezioni subirono trasformazioni causandone o distruzione per farvi spazio o inglobazione in abitazioni private, come è il caso della Porta S.Antonio, detta Chianca Vecchia, di cui rimane solo l’arco con l’effigie dell’oca chè simbolo del paese, Porta dell’Auliva nei pressi S.Giovanni, Porta e Torre del Portello e la Torre in abitazione privata di Tepedino-Fierro, perfettamente conservata.
In epoca medievale Padula fu uno dei più potenti feudi del regno di Napoli.
Le importanti famiglie feudatarie furono, oltre i Sanseverino, i Fasanella, Saccovilla, Sanseverino, Cordova, Grimaldi, d’Avalos.
Nel 1632 i d’Avalos cedettero il feudo alla Certosa di San Lorenzo che lo detennero fino all’epoca napoleonica.
All’inizio del 900 per il centro di Padula ci furono gravi disastri, colpita pesantemente dallo straripamento del torrente Fabbricato distruggendo due terzi del padulese e sommergendo anche la Certosa.
A causa della II guerra mondiale il paese ne uscì, per ennesima volta, distrutto economicamente tanto che ci fu una seconda ondata migratoria diretta verso il Nord Italia, in Europa come Germania e Svizzera e in America quali Argentina, Cuba, Uruguay, Brasile, Stati Uniti, Colombia, Messico, Perù, Ecuador, Guatemala e Bolivia.
Molti dei padulesi all’estero divennero noti personaggi come imprenditore edile, celebre poliziotto Joe Petrosino, ricchi orefici, grande scienziato Frank Valente, cuochi rinomati, etc.
Di conseguenza la comunità padulese, la più numerosa del Vallo di Diano, si trovò a inizio del XX secolo dimezzata con un calo demografico di oltre 5000 unità nell'arco di 20 anni.
Tra gli anni '50-'60 del secolo scorso Padula venne sconvolta dal nuovo sviluppo urbanistico, distogliendo in parte l’aspetto originario del borgo medievale.
--Il territorio comunale di Padula è ai confini con la regione Basilicata, coi 3 comuni Marsico Nuovo, Paterno e Tramutola della provincia di Potenza.
--Invece confini comunali salernitani sono Sala Consilina, Montesano sulla Marcellana, Buonabitacolo e Sassano.

TRA I FIGLI ILLUSTRI DI PADULA
--Andrea Carrara abilissimo capomastro di scalpellini padulesi, autore di tantissime e preziose opere realizzate per la Certosa di S.Lorenzo, ancora tutt’ora ammirabili.
--Vincenzo Ferrigno Ferrara, un ricchissimo personaggio che fece tanta fortuna nell’Oltreoceano costruendovi la fonderia tra le più grandi di tutta l’America Latina.
--Alliegro Giuseppe, a lui va il merito di aver realizzato la prima guida storico-artistica della Certosa, stampata nel 1934.

--Arcangelo Rotunno: prete-archeologo-letterato, instancabile ricercatore per l’individuazione dell’antica Cosilinum, scoperta su un colle detto “Civita”, ai primi del ‘900, comprovata dal rinvenimento di numerosi resti architettonici e soprattutto di epigrafi oggi visibili presso il Museo Archeologico della Lucania Occidentale in Certosa.

--Andrea Cariello fu un bravissimo incisore su pietre dure, oltre che un affermato medaglista e scultore su terrecotte, gessi, bronzetti e di busti marmorei.
Per la sua eccellente capacità di maestria, fu chiamato dal re delle Due Sicilie Ferdinando II di Borbone come incisore alla Zecca Reale dal 1831.
Lavorò presso i Borbone, a decorare anche come stuccatore nei palazzi reali di Napoli e di Caserta, accanto ad altri artisti affermati.
Questo importante artista, divenuto noto in tutta Europa, fu chiamato dal primo ministro britannico per proporlo il ruolo di direttore della Zecca britannica, ma rifiutò l’incarico per rimanere a Napoli.
Il suo più grande capolavoro in assoluto è la famosa pietra dura di topazio su cui incise la riuscitissima figura del “Redentore che spezza il pane”. Tale capolavoro fu ritenuto dalla commissione di esperti francesi “il più grande gioiello artistico del mondo”.
La pietra di topazio fu portata dal Brasile e la affidò proprio all’artista Cariello, come il più bravo ed affidabile incisore, commissionatogli dal re Ferdinando II nel 1853.
Il lavoro sulla pietra di topazio durò 10 anni, meritandosi di lodi unanimi per la sua grande precisione.
Dopo l’Unità d’Italia il Cariello, che aveva sempre avuto sentimenti liberali antiborbonici, fu nominato dal generale Giuseppe Garibaldi direttore del Gabinetto di Incisione della Zecca e professore di incisione di un Istituto Tecnico nel nuovo Regno d’Italia.
Anche le sue successive generazioni si distinsero, tra la fine del ‘700 e gli inizi del ‘900, come abilissimi scultori del legno ed esperti cesellatori di metalli e pietre.
Foto della celeberrima opera di Andrea Cariello “il Redentore che spezza il pane” su pietra dura di Topazio.
http://www.corrieredelgiorno.com/2011/05/14/lincredibile-vicenda-dellenorme-topazio-del-museo-diocesano/topazio-ok-2/
Foto delle monete borboniche lavorate da Andrea Cariello
http://www.ilportaledelsud.org/cariello.htm

--Francesco Valente fu grande matematico-fisico-scienziato, insegnò fisica nucleare, fu direttore di un noto Istituto politecnico scientifico di New York e candidato al Nobel. Per la sua grande capacità di studi sull’atomo, fu conteso tra tutte le migliori università americane per ottenerlo come professore e ricercatore di prestigio. Concentrò tutti i suoi studi sulla ricerca dell’atomo per una vita intera fino all’età di 86 anni, anno in cui si spense.
http://www.comune.padula.sa.it/figli_il/valente.htm foto di Frank Valente


JOE PETROSINO
Fu il primo poliziotto italo-americano della storia, amico personale del 26’ presidente americano Theodore Roosevelt.
Fu il primo ad aver avuto grande intuizione che la grande organizzazione criminale aveva il primo padrino della storia mafiosa: il siciliano Vito Cascioferro.
Joe fu il primo a capire che per sconfiggere definitivamente ogni azione malavitosa bisognava colpire a cuore, recandosi nella Sicilia, in paese di Bisaquino di Cascioferro, da dove partivano numerosi delinquenti e ordini per l’Amercia indisturbati grazie ai politici siciliani corrotti.
Tra i tanti memorabili episodi, aveva salvato il grande tenore Enrico Caruso dai ricatti dei mafiosi.
Fu il primo poliziotto al mondo nel mascherarsi coi tanti travestimenti, ritenuti addirittura leggendari, per entrare nei tentacoli della malavita da estirparla.
Alla sua morte, ucciso a tradimento da due mafiosi dell’allora denominata Mano Nera, ci fu il più grande funerale in suo onore mai visto in tutti gli Stati Uniti, circa 250mila persone.
Joe Petrosino a tutt’oggi è ritenuto il più forte e coraggioso poliziotto di tutti i tempi.
Links Youtube:
https://www.youtube.com/watch?v=J0hpC8tzxhY&feature=related Joe Petrosino (Beppe Fiorello, 2006) Parte II- Parte III
https://www.youtube.com/watch?v=R3DKB85Fijc&feature=related Joe Petrosino (Adolfo Celi, 1972)
Giuseppe Petrosino naque il 30 Agosto 1860 a Padula, dal padre sarto e madre casalinga.
Giuseppe emigrò all’età di 13 anni in America, a New York, dopo la morte della madre, assieme al padre, 2 sorelle e 2 fratelli. Lui era il primogenito.
A New York, nonostante anche qui la vita misera e molto difficile, ebbe modo di frequentare corsi serali per studiare lingua inglese e si adattò ad umili mestieri quali lustrascarpe, giornalaio e netturbino, ruolo che dipendeva all’epoca dal dipartimento di polizia, al fine di arrontondare il bilancio familiare.
Faceva per passione anche l’informatore della polizia su ciò che succedeva nel suo quartiere italiano, denominato Little Italy.
Per la sua costanza e bravura di informatore, fu ammesso nel corpo della polizia il 19 ottobre 1883, all’età di 23 anni, come agente di polizia.
Fu per lui un giorno importante che aveva sempre sognato e che desiderava di più nella vita.
Con tale assunzione fu il primo poliziotto italo-americano della storia.
L’incorruttibile poliziotto Petrosino subito si distinse dagli altri colleghi per la passione di questo lavoro che svolse con grande professionalità, con spirito di intelligenza e forte senso di responsabilità.
Infatti, grazie all’appoggio dell’assessore alla polizia Theodore Roosevelt, futuro presidente degli Stati Uniti, dal 1895 divenne sergente detective, dal 1905 capo di una storica squadra di 5 poliziotti italo-americani denominata Italian Branch, dal 1908 capo del servizio segreto e fu anche un vero e proprio specialista in travestimenti davvero singolari e memorabili che lo portò ad essere famoso anche nell’Oltreoceano.
Sposato, ed una figlia, si interessò assiduamente sugli intrighi della nascente mafia italo-americana con a capo il boss siciliano don Vito Cascioferro, ritenuto il primo padrino della storia della mafia, allora denominata Mano Nera, poi ridenominata Cosa Nostra.
Cercò di sconfiggere questa organizzazione malavitosa di Cascioferro compiendo imprese pericolose e fu soprannominato superpoliziotto per i suoi travestimenti ritenuti leggendarie, per capire ed addentrarsi il più possibile nelle sporche attività dei malavitosi, come lo sfruttamento dell’emigrazione degli italiani e i primi pizzi ai commercianti, cosidetti racket, altrimenti pena attentati ai negozi e minacce di morte con addirittura efferati delitti tra cui il raccapricciante episodio del cadavere fatto a pezzi e imbottito in un barile con segatura.
Nonostante la difficoltà ad estirpare il male della mafia, Petrosino ebbe comunque brillanti risultati con le sue instancabili ricerche delle attività illecite eseguite dai boss, tanto da guadagnarsi persino la stima del 26’ presidente degli Stati Uniti Theodore Roosevelt, di cui divenne amico personale.
Grazie a Petrosino furono ingaggiate le prime durissime battaglie compiendo i primi eccellenti arresti di taglieggiatori e delinquenti, che si arrivò addirittura a oltre 2500 arresti e con circa 500 espulsioni.
Episodio indimenticabile fu quello che Petrosino addirittura salvò il celebre tenore Enrico Caruso, che era in tournèe a New York, dai ricatti dei mafiosi con minacce di morte.
Altro clamoroso episodio è che Petrosino si informò, attraverso i servizi segreti, dell’imminente assassinio del 25’ presidente americano William McKinley. Il presidente fu avvertito ma ignorò e quindi fu effettivamente ammazzato nel Settembre 1901 da un anarchico di origini polacche con 2 colpi di rivoltella. La vittima fu sostituito dall’amico di Petrosino Theodore Roosevelt.
Joe Petrosino fu il primo della storia, nell’ambiente poliziesco, ad aver intuito che la macchina mafiosa newyorkese aveva le sue radici in Sicilia.
E allora il 9 Febbraio 1909, il tenente Petrosino, dietro l’autorizzazione del capo della polizia newyorkese, si imbarcò da solo in incognito verso l’Italia per compiere la missione segreta a Palermo, così da infliggere una volta e per sempre il colpo mortale alla mafia.
La sua missione fu finanziata dai banchieri americani che mal sopportavano le illegali gestioni economiche dei mafiosi.
Ma già alla partenza, il suo stesso capo della polizia si lasciò sfuggire alla segretezza, compromettendo seriamente l’anonimato della importante e delicata missione.
Furono persino pubblicati su un giornale americano tutti i dettagli della missione top secret
Tantè vero i criminali vennero a saperlo e Cascioferro, secondo fonti storiche, mandò due sicari da New york a Palermo per eleminare il nemico giurato numero uno.
Petrosino, partito comunque nell'erronea convinzione che in Sicilia la mafia, come a New York, non si azzardasse a uccidere un poliziotto.
Fu accolto prima a Roma dal capo della polizia e ricevuto dal presidente dei Consiglio allora Giovanni Giolitti, poi si fermò per qualche giorno nella sua casa natia di Padula e infine partì alla volta della Sicilia.
A Palermo il detective si convinse, dopo fatte alcune ricerche di dati compromettenti sugli affiliati alla Mano Nera, che c’era il pericolosissimo collegamento tra la mafia italo-americana e la politica siciliana troppo corrotta. Si accorse infatti, attraverso la rete di informatori fidati pagati da lui coi soldi del finanziamento della missione, che le cartelle penali dei criminali indagati presso il Tribunale risultavano inspiegabilmente cancellate e che i mafiosi godevano addirittura di un’insospettabile protezione nei palazzi del potere dello Stato, quindi capì che non poteva fidarsi delle corrotte autorità italiane.
Purtroppo non riuscì a compiere fino alla fine il suo importantissimo contributo contro la mafia perché alle 20.45 del Venerdì 12 Marzo 1909, in Piazza Marina a Palermo, appena uscito dal suo alloggio in un hotel, fu ammazzato da due sconosciuti con 4 colpi di pistola a tradimento: uno al collo, due alle spalle e uno alla testa.
Seguirono due funerali, uno in Italia e l’altro dopo un mese esatto in USA, 12 Aprile, dove ci fu la partecipazione senza precedenti di circa 250mila persone alla solenne cerimonia funebre, un numero fino ad allora mai raggiunto ad alcun funerale in America.
La Giustizia riuscì ad arrestare due presunti autori dell’assassinio: Antonino Passananti e Carlo Costantino il 3 Aprile dello stesso anno.
Vito Cascioferro invece fu prosciolto dall’accusa grazie all’alibi fornitogli da un suo amico deputato siciliano che dichiarò di averlo avuto ospite nella sera del delitto a casa sua, e quindi fu scarcerato la sera del suo primo giorno di prigionia, anche se al momento dell’arresto gli fu trovata addosso una foto di Petrosino.
Vito Cascioferro risulta arrestato ben 69 volte per diversi crimini e sempre rilasciato.
Ma nel 1927, periodo fascista, fu arrestato solo perché fu accusato di omicidio di un altro personaggio avvenuto 4 anni prima, con prove sufficienti da mandarlo all’ergastolo.
Morì nel 1943, nel corso della II guerra mondiale, nel carcere di Pozzuoli solo perché fu dimenticato in cella dagli altri che avevano evacuato per paura dei bombardamenti anglo-americani contro gli eventuali occupanti soldati tedeschi, quindi morì di digiuno.
Ma la mafia non finì con lui, fu sostituito da altri potenti criminali fino a diventare un impero mafioso che caratterizzò quasi tutto il XX secolo in USA e in Italia.
All’eroe Joe Petrosino, a tutt’oggi simbolo contro l’illegalità, sono stati dedicati documentari, libri a fumetti, uno sceneggiato televisivo prodotto dalla Rai nel 1972 in 5 puntate, interpretato dall’attore italiano Adolfo Ceri, e nel 2006 una miniserie-fiction Rai interpretato da Beppe Fiorello.
http://it.wikipedia.org/wiki/File:Joepetrosino.jpg foto del celebre detective Joe Petrosino
http://www.bbmartinpescatorepalinuro.it/images/joepetrosino-commons.jpg foto del celebre detective Joe Petrosino
http://www.padula.info/ foto del celebre detective Joe Petrosino

I “300 GIOVANI E FORTI DELLA SPEDIZIONE DI CARLO PISACANE CON TAPPA A PADULA
Nel periodo pre-unitario, tra la notte del 30 Giugno-1’Luglio del 1857 a Padula giunsero i Trecento ex detenuti del carcere di Ponza sbarcati a Sapri, capitanati dal napoletano Carlo Pisacane e dal calabrese Giovanni Nicotera, per incitare quanto più cittadini possibili, specie contadini e braccianti, ad una rivolta contro la monarchia borbonica ed instaurare così una nuova entità di portata nazionale.
Ma l’intendente Iossa e il colonnello Ghio, entrambi filo-borbonici di stanza a Sala Consilina, furono informati dai traditori di Pisacane dell’arrivo dei rivoltosi a Sapri, quindi allertarono la popolazione del Vallo di Diano e del Cilento diffondendo la notizia dell’arrivo imminente di bande di uomini con la scusa che venivano per compiere atti di saccheggi e di distruzione e disposero preventivamente le guardie borboniche pronte ad attaccare.
Il Pisacane, accorgendosi dello scarso interesse della ribellione da parte dei cittadini a Sapri si addentrarono comunque nel Vallo di Diano fino a Padula, proprio dove sperava di avere aiuti da parte di alcuni fidati, ma erano assenti perché l’uno era nascosto nel Cilento per sfuggire alla cattura da parte della gendarmeria borbonica, l’altro, che era un sacerdote, era già arrestato e imprigionato nel carcere di Salerno.
Il primo scontro urbano tra i due schieramenti avvenne presso la Certosa S.Lorenzo, poi si nascosero nel palazzo del liberale Federico Romano, dove oggi vi è posta la lapide memore dell’episodio, si inoltrarono infine nell’attuale Largo 1’Luglio dove ci fu il secondo crudele scontro.
Infatti numerosi seguaci furono accerchiati dagli abitanti inferociti e armati e li uccisero tra i vicoli del centro storico di Padula, davanti al palazzo Santelmo dove una seconda lapide ricorda le vicende del triste epilogo.
Invece Carlo Pisacane ed altri superstiti scapparono verso Sanza dove poco prima di arrivare in paese furono barbaramente massacrati, dove oggi sorge una piccola colonna piramidale in loro perenne ricordo. Mentre l’altro patriota Giovanni Nicotera fu ferito ed imprigionato prima a Salerno poi a Favignana fino al 1860 quando fu liberato all’arrivo dei garibaldini.
La tragica Spedizione di Carlo Pisacane e di Giovanni Nicotera nel Vallo di Diano, più conosciuto come Spedizione di Sapri, è considerata uno degli episodi più importanti e di maggiore valore simbolico del Risorgimento meridionale, ed i Trecento ex detenuti sono considerati i precursori che anticiparono di circa 3 anni della Spedizione dei Mille del generale Giuseppe Garibaldi.
--percorso dei 300: Sapri, Torraca, Fortino, Casalbuono, Padula, Sanza
http://www.luoghiememoria.it/wp-content/gallery/padula/dsc_0264.jpg

SACRARIO OD OSSARIO DI PADULA
dei Trecento fu costruito nel 1957 in occasione del centenario dell’episodio della Spedizione di rivoltosi contro la monarchia borbonica.
Sono custoditi resti dei 59 seguaci, sui 300 giovani, della spedizione voluta dal patriota Carlo Pisacane, uccisi per mano dei soldati borbonici e dai cittadini inferociti a Padula e dintorni tra la sera del 30 Giugno-1’Luglio 1857.
All’epoca in cui furono uccisi i 59 seguaci, i loro resti vennero sepolti in una fossa comune.
L’ossario si trova sotto la chiesa SS.Annunziata.
La chiesa in origine era annessa ad un ospedale e ad un Istituto dove venivano accuditi i bambini abbandonati, detto Brefotrofio. Gli ultimi due edifici furono demoliti, mentre la cinquecentesca chiesa nel corso dei secoli subì numerose trasformazioni.
Inoltre, all'ingresso dell’Ossario si notano due steli inneggianti al motto della spedizione:
"L'Italia agli Italiani" - "Gli italiani per Essa!"
Tali frasi si riferiscono alla frase pronunciata dal Pisacane ai suoi seguaci nell’estremo tentativo di salvezza:
“..se il nostro sacrifizio non porterà alcun vantaggio all’Italia, sarà per essa almeno una gloria l’aver generato figli, che volenterosi s’immolareranno pel loro avvenire."
http://www.luoghiememoria.it/wp-content/uploads/2010/12/image013.jpg foto corridoio interno Ossario
--Arco dell’Annunziata, un arco in pietra che si trova adesso davanti all’ingresso dell’Ossario, un tempo era ubicato nei pressi del convento dell’Annunziata.



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